Che decidiate di andarci sotto Natale con mille lucine, il camino acceso e l’accompagnamento del pianista, o in estate, occupando uno dei tavoli in pietra del suo splendido giardino, Al Garghet resta un gioiello senza tempo.
Siamo a sud di Milano, in un edificio del XXIII secolo, nell’antica Gratum Solum – l’odierna Gratosoglio – un tempo vissuta da innumerevoli colonie di rane. Proprio dal loro gracidare prende il nome il ristorante e seppure il territorio sia stato investito da massicce trasformazioni, l’identità di Al Garghet è rimasta intatta.
Sembra di essere catapultati sul set di un film d’epoca: per una sera si vive la vecchia Milano, come si parlava, quali profumi si riversavano nelle strade. Qui si percepisce ancora il ritmo lento scandito dalla passione e dalla dedizione verso il proprio mestiere: con venticinque anni di attività alle spalle, Al Garghet preserva ancora un’autenticità invidiabile sotto molti punti di vista.
L’edificio si compone di più parti, all’interno ci sono sale e salette di stili differenti: il cottage inglese, dove regnano il verde, il rosso e le tovaglie scozzesi; la saletta di Botero o petite chambre, dove una serie di vetrinette raccolgono ninnoli di vario genere tra cui delle bellissime ricostruzioni della vita delle case di ringhiera di un tempo. La saletta più piccola è quella chiamata “della musica” ma la mia preferita resta il chiosco, una sorta di ampia veranda lignea in stile provenzale che affaccia a 360 gradi sul giardino. Qui le tovaglie sono rigorosamente floreali.
Quando l’aria si fa più tiepida e le giornate si allungano, optate per un pranzo in giardino in uno dei freschissimi tavoloni in pietra sotto il pergolato o un po’ più nascosti. Vi è anche una terrazza, più areata e con una vista a cavallo tra due epoche: il panorama sulla città che cresce e, alle vostre spalle, la campagna rigogliosa del Parco Sud.
Il menù di Al Garghet è rigorosamente in dialetto – con una magnanima traduzione appena sotto – e scritto a mano in calligrafia elementare nei quaderni a righe di scuola. La tradizione impazza fin dagli antipasti: nervetti, lardo con crostini e paté di fegatini, gnocco fritto e salumi, fiori di zucca fritti. Tra i primi – di produzione propria, nemmeno a dirlo – risotto ai funghi, alla milanese (gustabile anche nella combinazione ossobuco con risotto), al salto, ravioli di grano saraceno, tagliatelle di farina di castagne, gnocchi di patate. I secondi ancora più trionfali: dall’orecchia di elefante – una delle più grandi in zona – alla Cassoela, senza farsi mancare mondeghili, rognoncini e le animelle di vitello. Dolci fatti in casa.
Più o meno romantici che siate, non fatevelo sfuggire!
Photo credit: EFFIGE 2.0